I “FRUTTI DIMENTICATI” DEL GIARDINO DELLA MEMORIA: UN PANNELLO INCORNICIATO IN FERRO BATTUTO PER SPIEGARNE IL SENSO

I frutti “dimenticati” del Giardino della memoria – il melo “zitella”

Una mela non ha mai chiesto a nessuno di scrivere la storia della sua esistenza. 

Per quelle del Giardino della Memoria ci piacerebbe farlo, molte piante vengono da poderi abbandonati e questi frutti non si trovano più nei mercati hanno una lunga storia.

Se non ci fosse stato Ovidio a darci una mano nel conoscere tante specie botaniche e da frutto forse gente come noi non si sarebbe preoccupata di realizzare un progetto piantando degli alberi che appartengono agli antichi pomari in via di estinzione, quelli brutti ma buoni.

Ovidio, battezzato anche Nasone, era un abruzzese che nacque a Sulmona il 20 marzo dell’anno 49 prima di Cristo. I genitori l’avrebbero voluto avvocato ma lui fece lo scrittore e il filosofo e duemila anni dopo, il fascino del suo sentire è aumentato. Ci ha ispirato il suo spirito protezionistico in difesa del verde e del paesaggio, dell’ambiente, dei beni della terra, ma anche dell’anima umana. 

E’ anche per questi valori che è nato a Lucoli un progetto che abbiamo dedicato alla memoria delle vittime del terremoto.

Ne abbiamo già scritto, ma pochi dei visitatori del Giardino della Memoria conoscono lo spirito di questo “monumento verde” e la ricchezza di piante in esso contenuta e così abbiamo realizzato un messaggio ad hoc da porre all’interno del Giardino.

Il testo scritto dalla nostra socia ricercatrice in materia di biodiversità: Beti Piotto, le maioliche realizzate dal maestro di Padova Quagliato, che ci sostiene da sempre, ma la struttura in ferro ci è stata donata da “ju ferraru delle Pagliare di Sassa”: Giuseppe Aliucci.

Il pannello ideato per il sesto anniversario del sisma che illustra il progetto botanico del Giardino della Memoria

Un lavoro lungo e di precisione che ha richiesto diversi sopralluoghi.

La struttura in ferro per contenere il pannello ceramico ideata dal Fabbro
“ju ferraru” Giuseppe Aliucci

Quello del fabbro è uno dei mestieri più considerati e apprezzati dalla gente comune sia per la sua incommensurabile utilità sia per le grandi capacità e i grossi sforzi fisici di cui ha sempre dato prova, per cui nessuno più di lui, a nostro parere, merita l’appellativo di “mastro”. 

Lo chiamavano nel Regno delle due Sicilie “forgiaru”, proprio per dare l’idea del vero artista che “forgia”, modella, plasma, manipola un materiale alquanto difficile quale è il ferro, riuscendo, nel contempo, a creare vere e proprie opere d’arte. Lo stesso termine “fabbro” deriva dal latino “faber” che significa abile, quindi, uomo capace di prendere un pezzo di ferro e di trasformarlo nella figura o nella forma che più desidera.

Nel 1954 l’emissione della moneta da 50 lire con la riproduzione, sul lato frontale, dell’effigie del fabbro (“Vulcano”) nell’atto di battere il martello sull’incudine, lo ha elevato, di fatto, a simbolo dell’Italia che lavora e che produce.

Peppe Aliucci, lavora a Pagliare di Sassa e ci ha aiutati: questo per noi non ha prezzo. 

Siamo dei volontari con tanta buona volontà ma con pochi mezzi, tanto abbiamo fatto con le nostre sole forze, ma senza l’aiuto di persone come Peppe, che credono in noi e nel nostro progetto, non potremmo andare avanti. 

Lui ci ha fatto sentire nel giusto.

Se si sogna da soli è solo un sogno, se si sogna insieme è la realtà che comincia.

Grazie Peppe!

Peppe Aliucci nella sua officina a Pagliare di Sassa (foto di Fabrizio Soldati)